Approfondimenti e Novità



> TUTTI





19 Ottobre 2020

Autore
MATTEO DE POLI

Attività
Crisi d'impresa

SHARE





Impresa in difficoltà e covenant bancari: doveri e responsabilità di amministratori e sindaci



L’abstract e le slides ad esso allegate offrono una sintesi delle riflessioni svolte durante il seminario “Impresa in difficoltà e covenant bancari: doveri e responsabilità di amministratori e sindaci”, tenuto lo scorso 16 ottobre nell’ambito dell’iniziativa “Cinque Casi di Diritto Societario”. La registrazione del seminario è disponibile al seguente link.

 

Prof. Avv. Matteo De Poli

direzione@studiodepoli.it

www.studiodepoli.eu

In occasione del terzo dei cinque seminari tenuti nell’ambito dell’iniziativa “Cinque Casi di Diritto Societario”, ci si è interrogati su quali siano i doveri degli amministratori e dei sindaci di una società di capitali nel caso in cui quest’ultima violi un “covenant”, ossia una pattuizione, inserita all’interno di un contratto di finanziamento bancario, attraverso la quale, da un lato, l’impresa finanziata ha assunto specifici obblighi correlati all’impegno di restituire la somma erogata e, dall’altro, sono riconosciuti alla banca specifici diritti e poteri nei confronti dell’impresa de quo [1]. Generalmente, la violazione da parte dell’impresa degli obblighi contenuti in un covenant – specie di un financial covenant[2] – è sanzionata con l’attribuzione alla banca della facoltà di revoca, ossia di risolvere il contratto di finanziamento; facoltà che, se esercitata, obbligherà l’impresa alla restituzione del finanziamento, con tutte le criticità a ciò connesse.

La violazione di un covenant, si noti, è un fenomeno giuridico autonomo, che non coincide necessariamente con una situazione di crisi dell’impresa, intendendosi per tale «lo stato di difficoltà  economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per  le  imprese  si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa  prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate»[3]. 

Ciò premesso, tuttavia, la violazione di un  covenant, con il conseguente rischio che la banca risolva il contratto e pretenda la restituzione della somma erogata, può costituire – e, anzi, generalmente costituisce – un chiaro segnale di crisi. Più precisamente, essa rappresenta un campanello d’allarme sia per il tipo di clausola violata (si pensi alla violazione di un financial covenant relativo al rapporto tra indebitamento e capitale che dimostri l’insostenibilità del debito in capo all’impresa)[4], sia per il rischio di dover restituire nel breve termine l’intero importo del finanziamento a causa della risoluzione del contratto eventualmente operata dalla banca.

È evidente come l’organo amministrativo e l’organo di controllo della società finanziata, nell’ambito delle rispettive competenze, debbano prontamente attivarsi per far fronte allo scenario appena descritto.

Per quanto riguarda gli amministratori, essi dovranno dare alla banca finanziatrice immediata notizia della violazione del covenant[5] ed offrire alla stessa gli opportuni chiarimenti e le rassicurazioni necessarie, eventualmente presentando un piano industriale aggiornato contenente adeguate misure rimediali.

Così facendo, gli amministratori dovrebbero mirare ad ottenere un “waiver”, ossia la concessione da parte della banca di un periodo di tempo durante il quale la società è esonerata dal rispetto del covenant. Nel mentre, ovviamente, la stessa dovrà prendere gli opportuni accorgimenti per ritornare in una situazione di compliance.

Quanto ai rimedi che, in concreto, gli amministratori dovranno porre in essere per far uscire l’impresa dalla situazione di rischio, questi dipenderanno dal tipo di criticità affrontate dalla stessa. Se, a titolo esemplificativo, l’impresa versa in una situazione di illiquidità, gli amministratori potranno porvi rimedio evitando la distribuzione degli utili eventualmente formatisi, chiedendo ai soci di apportare versamenti in contro futuro aumento di capitale, etc.

Più problematica, invece, è una situazione di crisi patrimoniale, che gli amministratori potranno affrontare attraverso un aumento di capitale, una riduzione dell’indebitamento, etc. e sempre che la crisi non sia tale da necessitare di soluzioni più drastiche (come l’accesso ad una procedura concordataria). 

Un ruolo fondamentale, poi, è rivestito dall’organo di controllo, che, se venuto a conoscenza della violazione di un covenant, dovrà immediatamente sollecitare l’organo amministrativo a prendere gli opportuni accorgimenti e, in caso di inerzia di quest’ultimo, dovrà, se il caso lo richiede, fare ricorso ai poteri attribuitigli dal codice civile[6].

Infine, pur non essendo propriamente un organo sociale, pare opportuno precisare quale sia il ruolo del revisore nel contesto appena descritto. Quest’ultimo, come è noto, è chiamato a valutare il bilancio predisposto dagli amministratori; bilancio che dovrà dare un’adeguata rappresentazione delle eventuali incertezze che la violazione di un covenant potrebbe generare in relazione alla capacità della società di operare come entità in funzionamento (cd. “going concern”). Nel caso in cui detta informativa manchi del tutto o non sia adeguatamente fornita, il revisore potrà esprimere un giudizio negativo sul bilancio. 

 

[1] I covenant possono essere raggruppati in due macro-categorie: i cd. “positive covenant” e i cd. “negative covenant”. I primi pongono in capo all’impresa finanziata degli obblighi di fare, quali, a titolo esemplificativo, il rispetto di determinate ratio patrimoniali e finanziarie (cd. “financial covenant”), un’informativa periodica a beneficio della banca, la possibilità per quest’ultima di nominare uno o più soggetti che partecipino alle riunioni dell’organo amministrativo dell’impresa finanziata (cd. ‘‘board observer clause’’), etc. I negative covenant, invece, pongono in capo all’impresa degli obblighi di non fare, quali, a titolo esemplificativo, restrizioni sul pagamento dei dividendi, sull’acquisto di azioni proprie, sulla cessione di beni aziendali, etc.

[2] Come anticipato alla nota precedente, un financial covenant impegna l’impresa finanziata a rispettare determinate ratio patrimoniali e finanziarie. A titolo esemplificativo, l’impresa potrà essere obbligata a mantenere il rapporto tra indebitamento e capitale o quello tra posizione finanziaria netta e margine operativo lordo entro determinate soglie.

[3] Così l’art. 2, co. 1, lett. a), del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Nonostante il nuovo Codice non sia ancora entrato in vigore, la definizione di crisi in esso contenuta pare comunque apprezzabile e valida nel contesto trattato. Si noti, peraltro, che alla data in cui si scrive, è in corso una ulteriore riforma della definizione di crisi, che vedrebbe sostituire l’espressione «stato di difficoltàeconomico-finanziaria» con «stato di squilibrio economico-finanziario» (v. il Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 67, 18 ottobre 2020 <http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-67/15454>).

[4] A riguardo, si v. quanto disposto dall’art. 13 del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.

[5] La comunicazione della violazione del covenant dovrà avvenire preferibilmente prima che la banca ne venga a conoscenza attraverso l’informativa periodica trasmessa dall’impresa

[6] A titolo esemplificativo, l’organo di controllo potrà presentare ricorso ex art. 2409 c.c., nell’ipotesi in cui la violazione del covenant e l’inerzia degli amministratori siano sintomatiche di gravi irregolarità nella gestione pregiudizievoli per la società. Ancora: nell’ipotesi in cui, dalla violazione di un financialcovenant, il capitale sociale risulti essere al di sotto del minimo legale, e l’organo amministrativo non prenda gli opportuni provvedimenti, l’organo di controllo potrà richiedere al tribunale, ai sensi dell’art. 2485, co. 2, c.c. di accertare la causa di scioglimento della società.



   SCARICA l'abstract

   SCARICA le slides