di Dott. Michele Cisolla
michele.cisolla@studiodepoli.it
Per leggere l'articolo pubblicato sulla Rivista di Diritto Bancario clicca qui.
Nell’esercizio della loro attività istituzionale, come noto, le banche si espongono a diversi tipi di rischio: uno di questi è il rischio di credito, determinato dall’eventualità che il debitore non adempia correttamente agli impegni assunti, con conseguente omessa restituzione del capitale, o anche solo degli interessi, nei tempi e modi determinati ex contractu. In materia creditizia, il rapporto banca-impresa si regge sull’assegnazione di un giudizio di solvibilità – ossia, il c.d. merito creditizio – che la banca stessa assegna all’impresa bisognosa di credito: ovviamente, quanto maggiore (e certa) è la capacità dell’impresa di restituire l’importo prestatole dall’istituto di credito, tanto maggiore sarà la classe di merito. Capacità di restituire che, pertanto, è direttamente collegata alla generazione da parte della debitrice di flussi di cassa adeguati a soddisfare le necessità d’impresa – tra cui, in primis, quella di rimborso del finanziamento bancario – per l’intera durata del rapporto contrattuale.
Sul merito creditizio e il rischio di credito sopportato dalla banca incidono, però, non solo fatti direttamente collegati alla (e causati dalla) gestione dell’impresa finanziata – che, dunque, possono essere (se pure limitatamente) governati mediante l’inserimento di particolari clausole nei contratti di finanziamento, ossia i cc.dd. covenants –, ma anche eventi esterni e indipendenti dalla condotta della debitrice. È questo il caso, ad esempio, dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e dei conseguenti provvedimenti d’urgenza adottati dalle Autorità, che hanno inevitabilmente comportato una alterazione del (già precario) equilibro gestorio che caratterizza la maggior parte delle imprese italiane facenti ricorso al credito bancario.
Come noto, infatti, il Governo italiano è intervenuto più volte a seguito della diffusione del coronavirus per limitare il contagio, disponendo sull’intero territorio nazionale la sospensione, in un primo momento, delle attività commerciali al dettaglio (ad eccezione della vendita di beni alimentari e di prima necessità), quelle dei servizi di ristorazione e quelle inerenti ai servizi alla persona [1]; sospensione che, in seguito, è stata estesa a tutte le attività produttive e commerciali, ad eccezione di quelle individuate dall’allegato 1 al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 2020, consentendo comunque alle attività sospese di proseguire se organizzate in modalità a distanza o lavoro agile [2]. Tale sospensione, inoltre, inizialmente disposta fino al 3 aprile 2020, è stata prorogata fino al 13 aprile [3] e poi, nuovamente, fino al 3 maggio dello stesso anno [4]. In seguito, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020 ha consentito la ripresa a partire dal 4 maggio di talune attività in precedenza sospese [5] (in particolare, l’industria manifatturiera e quella edilizia), prorogando, però, la sospensione di molte altre attività fino al 18 maggio e di altre ancora fino al 1° giugno 2020.
Non è revocabile in dubbio che la crisi sanitaria abbia comportato (e comporterà) pesanti conseguenze sull’economia italiana e, in particolare, sull’economia supportata da finanziamenti bancari. Tipicamente, infatti, per concedere un finanziamento, la banca richiede all’impresa mutuataria l’elaborazione e l’implementazione di un business plan che le consenta di generare cash flow idonei a garantire il rimborso del capitale erogato e degli interessi, secondo i termini contrattualmente pattuiti. Business plan che, come ovvio, sarà predisposto tenendo conto della prevedibile evoluzione della situazione economico-finanziaria dell’impresa. Ebbene, la diffusione del COVID-19 e la conseguente imposizione del divieto di regolare svolgimento dell’attività d’impresa per un periodo di circa due mesi non possono di certo ritenersi fatti prevedibili al momento della redazione del business plan e dell’erogazione del finanziamento; non di meno, tali fatti hanno inciso (e incideranno) sulla regolare gestione dell’impresa e, per l’effetto, sulla capacità di quest’ultima di adempiere le obbligazioni su di lei facenti capo in forza del contratto di finanziamento.
Sotto tale ultimo profilo, come detto, è tipico nella prassi bancaria inserire dei covenants all’interno di tali contratti – che, per il concreto contenuto delle clausole ivi previste, ritengo si possano definire, senza con ciò riferirmi all’uso civilistico di tale termine, come “vessatori” –, ossia specifiche clausole che, al fine di garantire il corretto andamento economico-finanziario dell’impresa e, di conseguenza, il rimborso del finanziamento da parte della debitrice, da un lato, pongono a carico di quest’ultima un complesso di obblighi di comportamento, o di restrizioni, i quali modellano altresì la gestione dell’impresa e, d’altro lato, riconoscono alla banca diritti e poteri nei confronti della finanziata. Covenants che, ove violati, consentono alla banca di attivare un severo impianto sanzionatorio, il quale può comportare anche l’attivazione di una clausola risolutiva espressa con decadenza del debitore dal beneficio del termine e conseguente obbligo per lo stesso di immediata restituzione di tutte le somme ancora dovute.
È in tale contesto, dunque, che pare legittimo chiedersi quale sia la sorte dell’impresa che rischi di violare, o abbia già violato, i covenants contenuti nel contratto di finanziamento a causa delle sopravvenute e imprevedibili difficoltà economico-finanziarie derivanti dalla diffusione del COVID-19 e dall’adozione da parte del Governo di provvedimenti d’urgenza per il suo contenimento, nonché quali siano i rimedi – invocare la nullità del covenant? Oppure l’impossibilità sopravvenuta della prestazione? O, ancora, l’eccessiva onerosità sopravvenuta? Negoziare un waiver? – da essa attivabili a propria tutela. Con lo scritto pubblicato sulla Rivista di Diritto Bancario e consultabile a questo link, dunque, si è tentato di rispondere a tali interrogativi; non prima, però, di aver fornito un inquadramento giuridico, teorico e pratico, dell’istituto dei covenants, ad oggi privo di una disciplina espressa.
[1] Cfr. art. 1 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 11 marzo 2020.
[2] Cfr. art. 1, primo comma, lett. a) e c), Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 2020.
[3] Cfr. art. 1 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° aprile 2020.
[4] Cfr. art. 1 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 aprile 2020, il quale ha abrogato tutti i D.P.C.M. precedenti al fine di riportare all’interno di un unico decreto le disposizioni da questi previste, prorogando altresì l’efficacia di tali previsioni sino al 3 maggio 2020.
[5] In particolare, l’industria manifatturiera e quella edilizia. Le attività consentite a partire dal 4 maggio 2020 sono indicate nell’allegato 3 al D.P.C.M. del 26 aprile 2020.
CREDITS
Progetto a cura di Marketude
Grafica a cura di Daridea
Sviluppo a cura di Magazzino27.it